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Coppa Europa 2015



Non appena ricevuto l'inaspettato, quanto gradito, incarico di selezionare la squadra italiana di Coppa Europa, la prima cosa cui pensai fu il mio precedente impegno, quello del 1998, in Spagna. Tempi diversi, luoghi diversi, tanta acqua passata sotto i ponti, da allora. Soprattutto, ero io a sentirmi un po' cambiato, diciassette anni non sono pochi. Mi divertivo - ma, allo stesso tempo, provavo un certo comprensibile grado di amarezza - a confrontarmi oggi con me stesso di allora. La passione, l'entusiasmo, erano identici. Ma allora ero ancora quasi un giovincello, e ora quasi un vecchierel canuto e bianco. E anche più smagato, più smaliziato, più esperto. La maggiore esperienza accumulata in tutti questi anni ti rende più cauto, più prudente, forse più saggio. Ma ti toglie anche lo smalto, il ritmo, l'impeto: come succede talvolta ai pointer! Chissà se, soppesando il tutto, ero più indicato ieri, oppure oggi, a fare quello che dovevo. "Dove sono i bei momenti ...” recita una delle più belle arie mozartiane! Tuttavia, tornare a quei bei momenti ti ringiovanisce, e ti ridà, sia pure per poco, la giovanile baldanza utile in questi casi.


In ogni caso, si trattava di condizioni assai diverse che mi si prospettavano. L'altra volta, si trattò di partire per tempo, con in mente i dati raccolti nell'autunno polacco, e poi tutto si sarebbe giocato in Spagna, ad inizio stagione. Ora invece c'era da seguirla per intero, la primavera cinofila, con un susseguirsi rapido di spostamenti, variazioni, mutevolezza di tante cose, di clima, di ambiente, di forma, di vicissitudini, umane e canine.


Come inizio, m'è venuta voglia di andarmi a ripercorrere un po' di storia. Le nostre vittorie, ma anche le nostre delusioni. I tempi pionieristici, e quelli più vicini a noi. I tempi della ferrea dittatura di Giulio Colombo, che avocava quasi sempre a sé il compito di selezionatore, senza il benché minimo timore di creare malcontenti gravi, come la famosa delusione dell' ingegner Bianchi, che costò alla cinofilia italiana il ritiro dalla militanza attiva di un tale personaggio! E il dopo Colombo, quando si sono avvicendati alla guida della Nazionale i più emeriti cinofili dell'epoca. Per diverso tempo, se volevamo vincere, nessuno si faceva scrupolo di mettere in squadra cani di allevamento estero, e neppure di far ricorso a campioni in età decisamente avanzata.


Ricordo, anche se ero un ragazzino, quando Beppe Arzilla confidò a mio padre tutta la sua amarezza per l'esclusione della sua adorata Flossy! E immagino i selezionatori di un tempo, che si trovavano a far da vasi di terracotta tra i due vasi di ferro (Franco Grassi e Mario Marchesi). Oggi si dice che c'è tensione, ma anche ieri non credo che ci fosse tanto da scherzare! Oggi i gentlemen alla Grassi e Marchesi non ci sono più, e nemmeno i professionisti di quei tempi: ma ci sono i professionisti di ora, altrettanto bravi, e loro degni eredi. E forse non troppo più mansueti di quelli!


Le cose son cambiate anche da tanti altri punti di vista. Rammento che, qualche tempo fa, ci fu chi disse, proprio, se non erro, su queste pagine, che i nostri trialer attuali non hanno niente a che vedere con quelli della nostra gioventù. E ricordo anche che io non ero d'accordo. Il trialer è un animo d' eroe in un corpo d' atleta. Ed era così anche allora, perché così fu voluto, e così fu inteso fin dall'inizio. È pur vero che al tempo si correva, in Italia, su terreni dove oggi, anche se ci fossero sempre le starne, non si potrebbe forse correre comunque. Ma i nostri cani, che facevano scorpacciate di starne in Lazio e Toscana, Piemonte e Veneto, andavano a farsi valere - e come! - anche in Francia, e su terreni quasi identici a gli odierni.


Le Coppe dei tempi pionieristici, in Italia, furono corse a Bolgheri, la prima, nel 1950, e poi a Cumiana, ai piedi delle Alpi torinesi, quattro anni dopo, indi a Campoformido, nei piani prossimi a Pasian di Prato, quasi alle porte di Udine, nel 1962, quando l' Italia tornò a vincere, avendo dovuto attendere 12 anni, da quella sua prima vittoria nella Maremma toscana. Ma, guarda caso, l'anno seguente, sulle sconfinate pianure di Artenay, vincemmo ancora, con il trionfo di Vavà del Tidone, di Alighiero, e da lui stesso condotto, e con il contributo determinante di Isbelle de Saint Niel, di Grassi, e di Achim del Cinghio, di Botto. Poi, nel '66, la prima Coppa da me vissuta - non di persona, ma in trepidante attesa!- da noi vinta a Sant'Anna di Chieri, grazie a Or del Cecina (nato a Bolgheri!) e a Finco del Feltrino, con il supporto dei due setter Litz, di Botto, e Raimond's Prince di Pannocchi.


Per farla corta, ciò che mi preoccupava non poco era il dato che, in sessantacinque anni di storia, le nostre vittorie in Francia erano state, fino ad oggi, solo 4: dalla prima del '63, ad Artenay, all'ultima del 1988 a Reims. Da quel momento, ventisette anni di digiuno, pur con qualche giustificatissima recriminazione (quella del 2009 a Courtisol! Quando Mario Agosteo fu costretto a un iniquo "dead heat”).


Qualche volta, nell'addormentarmi, o in sogno, o svegliandomi bruscamente, sono stato perseguitato da quel titolo che I nostri cani dedicò alla Coppa in Francia del 1972: "Vatan amara per la squadra italiana”! Accompagnato da una foto di Oddo e Radice, con dipinta in volto un'espressione tutt'altro che invidiabile.


Ricordo che, ventenne, continuavo a ripetermi: "Ma come! Andiamo là con Aster della Gaia, Poilù, Islo, Sainclair (Botto, Giachino, Grassi, Tempestini) e perdiamo!”. E questo netto ricordo riaffiorava proprio ora, a darmi fastidio e ansia.


Altre ricordanze che mi son sempre state care sono quelle delle Coppe al Mezzano, soprattutto la prima, del 1976, ma poi anche le due successive, 1982 e 1986. La Coppa del 3 aprile del '76 (un brivido a pensare che son passati quarant'anni!) fu mitica. Avevo 23 anni, seguivo già da alcuni anni, con una passione eccessiva, sfrenata, furibonda, la grande cerca, da spettatore assai invadente, di lì a tre anni sarei diventato giudice: uno spettacolo come quello non poteva che legarmi per sempre. Al mattino fui accolto con imprevista, ma meravigliosa, cortesia da Radice, Ammannati, Monaco, Oddo, e molti altri, il che mi fece l'animo stracolmo di gioia. A poco a poco la piazza del municipio di Ostellato si trasformò in una vera adunata oceanica. Migliaia, dico migliaia (non si è mai più vista una cosa del genere) di persone, accorse con ogni mezzo da ogni angolo d'Italia, si riversarono lungo le strade, i canali, gli argini di quella piana sconfinata, a fare il tifo per i loro beniamini, che erano Bouvard del Cerano, Liz, Dun del Meschio e Raf, rispettivamente affidati alla mano magica, magistrale, di Mario Marchesi, Gino Botto, Gelasio Pannocchi e Remo Tempestini. All'inno di Mameli, dinanzi al palazzo comunale, una scarica elettrica e una commozione indescrivibili m' invasero, e molto probabilmente dissi a me stesso: "un giorno, voglio esserci anch'io”.


Dai selezionatori stessi, ma anche più in generale da attenti storici ed osservatori della Coppa, sono state proposte alcune ricette. Molto citata quella attribuita ad Enrico Oddo: l' illustrissimo cinofilo avrebbe sostenuto che la formazione della squadra doveva essere l'amalgama di uno spaccamondo, due utili portatori di fieno in cascina e una nuova stella nascente. Ricetta in sé non priva di suggestione. Ma il grande Oddo è stato tre volte selezionatore di Coppa, e ne ha vinta una sola. Peraltro, appare imbattibile il record del presidentissimo Giulio Colombo: otto volte C.T., ha vinto la prima , e dopo zero su sette!


A quei tempi, erano piuttosto in voga metodi spartani, talora in effetti applicati. Il C.T. convocava, anche più volte, i papabili, sottoponendoli a un vaglio spietato. Per esempio: partenza, cento metri, e legare. Oppure: si mette un cane in ferma a comando e si verificano i consensi. Oppure si scioglie in un mare di lepri, e si salvi chi può. E così via. Ma io credo che siano metodi ormai da abbandonare. Per me, molto meglio attenersi a ciò che si vede in gara, e lasciar lavorare i professionisti, senza fiato sul collo. Loro sanno, meglio di chiunque altro, che cosa fare, e di che tipo di preparazione un cane abbia bisogno. Penso sia inutile, o addirittura controproducente, una eccessiva ingerenza: di gran lunga preferibile lasciarli lavorare in pace, e cercare semmai di capire, dai fatti, dove si può arrivare. Il lavoro del C.T. lo vedo come un'opera assidua, silenziosa, discreta, di attenta osservazione, di raccolta di elementi, anche i più in apparenza marginali, di studio della situazione, allo scopo di giungere a formarsi un intimo, profondo, solido convincimento. Detto questo, sia chiaro che almeno l'80% è fortuna. La Coppa non sono dieci gare: è una gara sola, dove tutto si gioca in dieci minuti scarsi, o la va o la spacca. L'alea è troppo grande per illudersi di poter influire più di tanto. Tuttavia, bisogna arrivare sicuri e convinti al momento decisivo, poi staremo a vedere.


Io a quel tipo di ricette cui accennavo sopra ho sempre creduto poco. Ricordo nitidamente che nel '98 in Spagna, la sera che comunicai la formazione della squadra, ci fu chi fece tra i presenti una serie di interviste lampo, che vennero poi pubblicate su I Nostri Cani. Uno degli intervistati rispose: "E' una squadra a tre punte, speriamo bene ...”. Nel calcio, come in cinofilia, e forse anche in altre cose, ho sempre preferito l'attacco, a viso aperto. Riguardo ai criteri di scelta in Coppa, è sempre stato forte il convincimento che occorrono cani che raggranellino punti. Ma quelli, più o meno, ce li hanno anche gli altri. L'unica differenza è che noi invece abbiamo i Campioni, e per vincere, anche in una gara a squadre, ci vogliono i Campioni.


Certo che l'impegno non è dei più leggeri. Vieni nominato a novembre, e devi andare subito in Serbia. Alla fine di gennaio, o primi di febbraio, dodici giorni in Spagna. Breve riposo, e di nuovo quindici giorni in Serbia. Torni a casa, due giorni di tregua, e via, altri dieci giorni in Francia. Ma non a scrivere teorie: a scarpinare tutti i giorni da mane a sera nel fango e nel freddo, sotto il vento (certe volte irresistibile), la pioggia, la grandine o la neve. Occorre una passione sconfinata, un po' di resistenza alla fatica, e non aver da fare nient'altro!


Le alterne vicende della storia di Coppa, sono un po' legate, per noi, alle ere della nostra cinofilia dei cani inglesi da ferma. C'è stata l'epoca di Bolgheri e Spedaletto, Cavaglioni e Santa Luce, di Sutri, Settevene, Cipollara e Valle Antica, del Mezzano ecc. Poi quella dell' Istria. Quindi quella della Croazia. Poi, l'epopea grandiosa della Polonia. Infine, è arrivata l'era della Serbia. Tutti questi diversi periodi, queste situazioni, queste opportunità hanno segnato e improntato le nostre possibilità di allevare, scegliere, selezionare, portare avanti i giovani, allenare, gareggiare, essere competitivi a livello internazionale, con una profusione di lavoro inimmaginabile e un sacrificio e uno sforzo immane, di tutti i tipi, ai limiti delle possibilità umane. Ora, senza ombra di dubbio, stiamo vivendo l'era della Serbia. Qualcuno, a più riprese, ha pensato bene di sollevare dei dubbi, avanzare delle perplessità. I cani italiani sono ormai abituati da un decennio alla Serbia, con i suoi terreni particolari, per lo più letteralmente infarciti di starne. Pensare di prenderli, e, di punto in bianco, farli sbarcare in Francia, in una realtà completamente diversa, e particolarmente difficile, dove non hanno mai messo piede, e pensare che si comportino da trialer imbattibili, e possano vincere, sarebbe una pia illusione, una mera velleità. Io invece penso - non da ora, da molto tempo - che proprio quei terreni rappresentano il più duro e selettivo banco di prova, lì si separa il grano dal loglio. E' in quell'ambiente favoloso che il cane impara il mestiere, apprende a ragionare, forma e tempra il suo essere canis avicularis, affina le sue armi, esercita il suo talento. Un grande cinofilo mi ha più d' una volta ricordato il detto di un famoso allevatore del passato: prima la testa, poi il naso e poi le gambe. Ebbene, siamo partiti il 18 marzo dalla Serbia, siamo sbarcati pochi giorni dopo in Francia, dove il 22 era in programma, ad Arras, il Prix Navette, e il giorno dopo il Prix Mairesse. Poi tutti ad Aubeterre, per l' Open de France. Quindi a Vitry-le-Francois, per i due giorni di gara a Chatelraould. Dopo a Connantre, per la Coppa, seguita dal Prix d' Excellence. Infine a Bapaume, per i Campionati, setter e pointer. Risultato: abbiamo vinto quasi tutto noi, a gli altri son rimaste le briciole.


Il lungo periodo durante il quale ho seguito le prove è stato molto importante e molto fruttuoso. In particolare, mi attendevo rilevanti indicazioni dalle prove in Andalusia. Terreni amplissimi e lievemente ondulati a Osuna, fondo in certi casi terribile, perché tipicamente sassoso. Invece, quelli di Jerez alquanto diversi, più gibbosi, con grano più alto, dove emergono i cani collegati, che sanno trarre vantaggio dal senso delle misure, delle geometrie, dai punti di riferimento, che sanno mantenersi equilibrati, anche in presenza di uccelli così particolari, difficili da trattare, tentatori, come le pernici rosse. Far bene in Spagna l'ho sempre ritenuto un gran bel titolo, molto autorevole e prestigioso. Purtroppo, su quei terreni, per il tipo di fondo, il rischio di infortuni è sempre in agguato, e anche stavolta sono state mietute vittime molto illustri. Il che ha creato apprensione e dubbi, che in qualche caso si sono risolti positivamente, in altri purtroppo no. E' sufficiente scorrere le classifiche per constatare come alcuni cani si siano messi meravigliosamente in luce, e questo mi ha confortato moltissimo.


Poco dopo è stata la volta della Serbia. E chi aveva brillato intensamente a novembre, e poi in Spagna a febbraio, ha continuato a brillare anche in marzo a Niš, quando il fatidico appuntamento cominciava ad approssimarsi rapidamente. A questo punto, è stato necessario approfondire certi aspetti, riflettere attentamente, e iniziare ad entrare in maggiori dettagli circa la programmazione e la preparazione dei cani riguardo all'obiettivo principe. Quella espressione che usò, parlando con me, un grandissimo professionista, mi piacque assai, e mi è rimasta impressa: a un certo punto, deve prevalere "la cultura del Campione”, diventa necessario, imperativo, che tutto sia subordinato, e finalizzato, alla sua tutela e salvaguardia. Il resto può, anzi deve, passare in secondo piano. Questo, per me, è fondamentale. E contraddistingue il preparatore di classe superiore. Nonché il C.T. accorto, prudente e saggio. Niente fretta, i fuoriclasse vanno saputi rispettare e aspettare, per quando arriverà il loro momento, in cui sapranno ricompensarti.


Nel frattempo, ci sono state anche complicazioni. Per ragioni diverse, ho potuto accertare che molto probabilmente non avrei potuto contare su almeno un paio di cani sui quali riponevo la più grande stima e fiducia. Ma avevo alternative, fortunatamente. Come ebbi modo di dire non molto tempo fa proprio su queste pagine, i cani bravi c'erano, e non erano pochissimi. Il che non toglie che certi cani sarebbe un'immensa soddisfazione portarli in Coppa, e doverci rinunciare dispiace, e parecchio.


Alla fine, è giunto il momento di andare in Francia: alcuni giorni a disposizione per trovare le conferme che cercavo. E le ho trovate. Ho deciso la squadra, senza tentennamenti, senza dubbi, senza esitazioni, in piena tranquillità: titolari Desianensis Linux (Ernesto Pezzotta), Mosè del Sargiadae (Stefano Girandola), Nolo del Zagnis (E.Pezzotta), Picenum Zafir (Davide Bruni), riserve (pronte a scendere in campo, nel caso fosse necessario) Camerata (Emanuele Targetti) e Hollywood del Sargiadae (Severino Traina). Una squadra forte, molto, ma molto forte, composta da cani e uomini di altissimo profilo: cani sensazionali, affidati a persone altrettanto eccezionali. Come scrisse Giulio Colombo, citando Tesio, per vincere non basta un buon cavallo.


Memore di quel che successe l'anno scorso in Spagna, con la Coppa martoriata dal maltempo, probabilmente la mia cura maggiore erano le condizioni meteorologiche. Invece, per fortuna, abbiamo avuto due belle giornate. Con il tempo buono, e con la presenza di familiari e amici, ero nel migliore stato d'animo del mondo. E questo, per affrontare bene la più importante gara del mondo, è decisamente un buon inizio.


Il sorteggio aveva decretato che il primo giorno corressero i nostri due setter, Nolo del Zagnis e Desianensis Linux, rispettivamente al 5° e al 7° turno. Prima che tocchi a Nolo, ci sono alcuni cani che vanno a punto, ma niente di preoccupante, anche perché appartengono ciascuno a nazioni diverse. Finalmente, è il momento di Nolo. Terreno amplissimo, in parte arato, in parte coltivato a frumento e colza. Il vento ci dà qualche pensiero, perché abbastanza sostenuto, ma con direzione ancora mutevole. L'allievo di Pezzotta, appena partito, si vede subito che è in grandissima condizione. La cerca è estesissima, di ottima profondità, ben bilanciata, e sempre sul vento, l'andatura è estremamente sostenuta e continua, l'azione splendida. In un lunghissimo lacet a destra avverte, rimonta e ferma. Pezzotta ha da fare moltissima strada, ma sembra che voli! Finalmente arrivato al cane, lo invita a guidare, e Nolo lo fa meravigliosamente bene. Guida a lungo in grande stile, alla fine blocca e risolve correttamente. Il turno però è interrotto per eliminazione della compagna di coppia, dunque Nolo dovrà completare ancora qualche minuto.


Al settimo turno ecco Linux. Interpretazione come al solito estrema della grandissima nota. Purtroppo, a un certo punto, oltrepassato un lieve dosso, scompare sul lato sinistro, e poi si porta troppo in profondità, finendo fuori mano. Un duro colpo, ma abbiamo ancora l'ottima chance di Nolo. Il quale, nel completamento, conferma tutto ciò che di bello ci ha fatto vedere nel primo turno, e va ad aggiudicarsi un altro grandissimo punto da par suo. Il sublime fuoriclasse, ancora una volta, ha voluto imprimere il suo aureo sigillo: grazie Nolo, e grazie Ernesto! Sono al settimo cielo, ma è troppo presto per farsi prendere da prematura euforia. Certo che è comunque molto difficile trattenere l'emozione e la gioia, e il Campione viene accolto al rientro da una vera ovazione. Inutile aggiungere che il proprietario, Prof Tosi, è raggiante, e l'allevatore, Liberino Zagni, non meno di lui!


La prima giornata si conclude con quattro cani in classifica, ma nessuna squadra ne ha più di uno. Le speranze sono decisamente buone.


"Si racconta che il principe di Condé dormì profondamente la notte avanti la giornata di Rocroi: ma, in primo luogo, era molto affaticato; secondariamente aveva già date tutte le disposizioni necessarie ...”. Anch'io, sinceramente, ho avuto un sonno decisamente ristoratore, ma il risveglio non ha recato buone novelle: tempo da lupi!!! Sulla N4, la strada che va da Nancy a Parigi, ci accompagna una furibonda tempesta di vento, acqua, grandine, nevischio. Non ci voleva, è un vero guaio. Poi, all'improvviso, quando ormai siamo prossimi a Connantre, il temporale si placa, e, a poco a poco, vien fuori una giornata tranquilla e soleggiata, di ottimo auspicio.


La sorte ha voluto che oggi scendano in campo i nostri due pointer. Abbiamo Mosè del Sargiadae al 5° turno, e Picenum Zafir al 9°.


Il terreno dove dovrà correre Mosè non è dei migliori, soprattutto in considerazione del fatto che, pur vastissimo, non è in piano, ma in leggera costante ascesa da sinistra verso destra, fino al crinale, al di là del quale c'è un nuovo lieve avvallamento, su cui si estende un immenso arato, che poi risale verso il grano. Ma il problema è che il vento non ce l'abbiamo in faccia, ma bensì nettamente obliquo da destra. Mosè parte a tutta manetta, grande galoppo e portamento di testa, azione potentissima, cerca a tutto campo, perfettamente sul vento, e perciò in diagonale: è matematico che il cane arriverà ad affacciarsi in cima al clivo dal lato destro. Fino al sesto, settimo minuto il nostro pointer dà spettacolo, ma per ora le starne si fanno desiderare. Col procedere della sua magnifica galoppata, il nostro Campione raggiunge il crinale, lo supera, e scompare alla vista. Girandola corre verso l'altura, per poter vedere il cane, il quale si getta avidamente verso il grano finché, al termine di apertura chilometrica, vira e si riporta ottimamente sul percorso. A un certo punto avverte, taglia il lacet, risale, e poi, nel riprendere la piena azione, anziché mantenere la linea precedente, guadagna spazio in avanti e termina troppo in profondità.


A questo punto, comincia a subentrare l'ansia, inutile negarlo. Tutto è affidato a Zafir, in cui nutro peraltro una fiducia sconfinata, ma, come dicevamo, … la palla è rotonda.


Zafir è al 9° turno, il penultimo. Conosco Bruni, e so quanto vale. So anche quanto, e come, ha lavorato in tutto questo tempo, portando Zafir gradualmente al massimo della condizione, e sono sicuro che Zafir, un cane di gran classe, ce la metterà tutta per farci felici. Però ho anche scolpite indelebilmente nella memoria quante cocenti delusioni in passato son venute, in Coppa Europa, da tanti altri cani altrettanto formidabili. Sono certo che Zafir farà bene, ma sono al contempo consapevole che l'errore purtroppo è sempre in agguato. Non resta che attendere, e sperare.


La carovana si ferma lungo una stradina che fiancheggia a buon vento un magnifico terreno. C'è subito, lungo strada, un grande frumento promettente, poi un arato, poi ancora grano, e un immenso campo di colza, laggiù in fondo, al di là del frumento. A las cinco de la tarde la giuria si posiziona, e il presidente convoca i cani al centro. Via, partiti! Zafir attacca a pettinare pancia a terra il coltivo, sempre con la sua testa rivolta verso il cielo. Il vento è quello giusto, netto e costante. L'azione del pointer è concentrata, tesa, avida. Allontanandomi dalla strada, mentre seguo il cane, a un tratto mi volgo, solo un istante: ci sono alcune persone, in fila sulla stradina, una accanto all'altra, che mi sono care. Il loro viso è immobile, lo sguardo intento, sperano e aspettano la stessa cosa che spero e aspetto io. A mano a mano che mi allontano si confondono laggiù, ma li sento vicini, come fossero accanto a me. E Zafir continua imperterrito a divorare terreno: mentre lo fa, è come se fosse un mio cane, mi infonde una indicibile tenerezza, e penso "Ti prego, non tradirmi!”. Mesi di lavoro, di faticoso impegno, studio, ansie, dubbi, indagini, riflessioni, ogni pensiero sempre rivolto a una sola cosa: ecco, finirà tutto qui, tra pochi minuti, in un modo o nell'altro. Nel frattempo, Zafir ha finito di pettinare il grano e comincia a tagliare con coraggio e decisione l'arato. Al di là del quale lo attende, forse, chissà … Non faccio altro, maniacalmente, in continuazione, che guardare l'orologio, i minuti volano, il tempo fugge. Il galoppo di quel pointer sembra ritmare il battito del cuore, e viceversa. L'alunno di Bruni stacca un lacet infinito sulla sinistra, verso l'angolo estremo tra grano e ravizzone. E' quasi in fondo quando, d'improvviso, avverte, fila, e blocca. Il conduttore corre, il giudice d'ala corre, io corro: sono attimi di palpitazione al limite del sopportabile. Mi fermo, e inquadro la scena nel binocolo. Bruni, finalmente, è alla coda di Zafir, che guida brevemente, si blocca di nuovo, e … risolve!!! Il conduttore lega il cane, immobile come una statua. La giuria suona la tromba.


Federico Tesio racconta che, in un pomeriggio della fine di giugno del 1938, al Bois de Boulogne, ippodromo di Longchamp, mentre guardava Nearco in dirittura d'arrivo del Grand Prix de Paris, appena vide Gubellini, all'ultimo furlong, allungare le braccia sul collo di Nearco, e questi scattare come una molla, abbassò il binocolo, era fatta! Pure io ho abbassato il binocolo, e per un solo istante sono rimasto immobile, chiedendomi sogno o son desto? Per un solo attimo, però. Subito dopo, anch'io ho detto: "è fatta!”, e poi ho alzato le braccia al cielo. Quelli che assistevano da lunge hanno capito, e dapprima con circospezione, ma poi di corsa, si sono precipitati in campo.


Inutile dire le lacrime, la gioia incontenibile, gli abbracci. Chi non condivide questa divorante passione non può capire, e chi la condivide non ha bisogno di tante parole. Ma vivere questi momenti con le persone care, e abbracciarle mentre le lacrime di gioia e di emozione e di commozione scorrono a fiotti è un'esperienza unica ed eterna.


Doverosi, ma ormai privi di effetto, i consigli alla prudenza, ancora non era finita. Per me, la prudenza non è mai troppa, ma stavolta no, e i tappi di champagne, e una bottiglia di whisky thirty year old, scappata fuori al momento più adatto, e i brindisi non ne volevano più sentir parlare di prudenza e self-control. Una bellezza senza eguali il giubilo, la gioia ormai irrefrenabile tra tutti noi italiani lì presenti, soprattutto allenatori, proprietari e allevatori. Con Jessica, Eleonora e Guido, Bruni e Pezzotta, Libero Zagni e il professor Tosi, l'avvocato Milia, Procaccini, Anna, Claudia, Christina, Beata, Agosteo, Antonella, Pietrino Miluzzi, il resto della squadra, in primis Targetti e Traina, e tutti, tutti gli altri insieme. Sempre accanto a me, fin dal primo giorno in cui partimmo dall' Italia, Silvio Marelli, cui devo un tributo di particolare riconoscenza, per il suo continuo sostegno, e la sua signorilità. Siamo ancora lì tutti a festeggiare e ho la splendida gioia di ricevere per telefono, dall' Italia, condivisioni di giubilo che mi toccano profondamente, da amici come Vincenzo "Ercolino” Marzano, Elisabetta Bucalossi, Giancarlo Trivellato, Rudy Lombardi (gran maestro, una istituzione della cinofilia mondiale).


La gara volge in breve al termine, come previsto senza scossoni e sussulti. La Giuria si riunisce, e il presidente Sormaz, con a latere Urra e Nobile, legge la classifica: CAC a Nolo del Zagnis, Eccellente a Picenum Zafir. Abbiamo vinto!!! La Coppa torna in Italia!!!






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