La mia vecchia caccia
Non molti
giorni fa ho ricordato nella mia rubrica "Il libro della sera” il
bellissimo "Giornate di caccia” del Senatore Eugenio Niccolini,
marchese di Camugliano e Ponsacco. Un'opera mirabile, donde traspira
un'aura poetica inimitabile. A ciò contribuisce il fatto, di grande
rilievo per me, che la maggior parte dei racconti del Niccolini sono
ambientati all' Alberese, la principale culla del mio grandioso
innamoramento per la caccia. Ma non solo per la caccia in assoluto,
ma anche e soprattutto per quell'ambiente, per quei luoghi di
inarrivabile bellezza, e insostenibile fascino, che cantavano al mio
cuore di fanciullo l'amoroso carme per la mia terra, le dolci
canzoni del tetto natìo.
L'Alberese,
quello del Marchese Niccolini, e quello della mia fanciullezza, che,
nonostante il circa mezzo secolo trascorso, gli somigliava ancora
tanto, sono alla base dei miei ricordi di caccia, corposo volume che,
nel cassetto, aspetta di essere pubblicato. Ma sicuramente prima o
poi lo sarà. Secondo il Niccolini la Maremma si affacciava al balco
d'oriente del ventesimo secolo, esistendo però solo in effigie. Il
corpo, nella sua esteriore parvenza, era ancora presente,
apparentemente intatto, o quasi, ma ciò che era per sempre perduto
era l'anima.
La caccia
che ho conosciuto da bambino era quella ancora regolata dall'
eccellente T.U. del 1939. Della commissione parlamentare incaricata
di redigerlo faceva parte, per espressa volontà del Duce, il
Marchese Niccolini. La caccia in Italia era posta sotto
l'intelligente attenta rigorosa signorile sorveglianza di uno
scienziato come S.E. il Prof. Alessandro Ghigi, Magnifico Rettore
dell'Università degli studi di Bologna, Deputato e Senatore,
fondatore, nel 1933, e direttore dell' Istituto di Zoologia applicata
alla caccia.
Per me, che
mi avventuravo, guidato con passione ed entusiasmo da un genitore a
sua volta cacciatore e discendente di cacciatori, alla scoperta di un
mondo meraviglioso, quello dell' Ars Venandi, la caccia si
identificava innanzitutto con la grandissima tradizione maremmana e
più in generale toscana. Dove sorgevano i Monti dell' Uccellina e
l' Alberese, cantati da Gabriele D'Annunzio nelle Laudi, dove ancora
si estendeva maestoso e meraviglioso il padule (detto alla
maremmana!) e le grandi foreste selvagge regno del cinghiale. Non
solo, ma dove si incontravano a caccia, col marchese Niccolini, i
maggiori esponenti dell'antica nobiltà toscana, e intellettuali,
artisti e letterati come per esempio lo stesso D'Annunzio, Giosuè
Carducci, Giacomo Puccini, Renato Fucini, Eugenio Cecconi, Mario
Puccioni.
Nella
Maremma si estendevano le immense tenute di grandi famiglie, i Della
Gherardesca, gli Antinori, gli Incisa della Rocchetta, i Corsini, il
nobile senatore Giovan Battista Collacchioni, che dal suo castello di
Capalbio dominava tutta la parte meridionale della nostra terra, fino
al lago di Burano ed al mare. E le loro riserve di caccia erano la
salvezza della selvaggina, e il bene di tutti i cacciatori maremmani,
ed anche dei cinofili, ovviamente.
Se non ci
fossero state le guerre, se non ci fosse stata la tragica sventura
della seconda guerra mondiale, se l'Italia non fosse conseguentemente
diventata l'unica Nazione comunista ad ovest della cortina di ferro,
e se, in particolare, non fossero state previste nella Costituzione,
e poi, dopo un quarto di secolo, purtroppo pessimamente attuate le
famigerate regioni, rovina irreparabile della nostra povera Patria,
non dico che la situazione sarebbe potuta rimanere simile a quella
per sempre immortalata da Eugenio Niccolini, ma quasi.
Ma ci
pensate alla caccia in Maremma passata da quei personaggi, da quella
cultura, da quella tradizione, da quei numi tutelari, da quelle leggi
e ancor più da chi era stato incaricato di farle e di applicarle,
allo sfacelo, allo smisurato squallore odierno, all'analfabetismo
truffaldino, alla volgarità e all'ignoranza elevate a sistema !!!
Quella era
la vera arcaica demagogia leninista cui erano ancora legati i
comunisti. Oggi anche loro sono cambiati. Cambiati sì, ma non certo
in meglio. L'ignoranza, la prepotenza, la presunzione sono rimaste le
stesse.
|